Storie Indigene: Loredana Amenta. Luce al femminile.
Loredana Amenta. Luce al femminile.
Il colore spalmato sulla lastra di ferro va a riempire i segni tracciati dalla mano dell’artista.
Le lastre vengono così preparate per la stampa. Una per volta. La precisione delle azioni e dei tempi sono essenziali. Stampa dopo stampa, i segni si intersecano e, grazie alle loro diverse profondità, realizzano l’immagine di un pensiero.
La religiosità di un lavoro manuale antico, morsura dopo morsura, svela a poco a poco, in modo sorprendente.
È ciò che ha scelto di fare Loredana Amenta: aprire una stamperia d’arte e lavorare come i maestri del ‘400 e del ’500, in piena era del digitale, dei pixel e della stampa a laser. E gli artisti si affidano a lei, che ogni volta riesce a dare una luce nuova e inaspettata alle loro creazioni.
Nel suo atelier, tra le tante opere, si possono ammirare anche quelle personali, quasi oniriche e nostalgiche, e tra colori e arnesi del mestiere disseminati ovunque, e cassetti pieni di caratteri di ogni tipo e dimensione, che chissà quante volte si sono composti e ricomposti in parole diverse, emergono i grandi macchinari da lavoro, in particolare, una massiccia pressa che sembra prelevata da un museo di arti e mestieri antichi. Loredana ne è molto orgogliosa.
È una Albionpress inglese del 1846, una pressa dalla meccanica semplice che sono riuscita a trovare e soprattutto a farmi portare… l’ultima pazzia, fatta durante il COVID. A Firenze avevo lavorato con questo tipo di macchina, e mi era rimasta nel cuore.
E inizia a raccontarci la sua storia…
È a Firenze che è nato il mio progetto, anche se, in realtà, Il mio navigatore interno (mi piace chiamarlo così), sapeva da tempo quale sarebbe stata la mia strada.
Fin da piccola amavo disegnare, dopo il liceo artistico fatto a Modica ho frequentato l’Accademia di Belle Arti a Catania. Avevo scelto la pittura, ma durante i due anni di incisione è nata una scintilla… Per caso iniziai a collaborare con un gallerista che aveva una piccola tipografia. In un primo tempo pensai di fare un corso accelerato al Bisonte di Firenze, poi decisi di fare un’esperienza più completa e di specializzarmi là.
Cosa ti mancava della Sicilia?
Anche se a Firenze mi sono sempre sentita a casa, mi mancavano la famiglia, cui sono legatissima, e i miei amici. Avevo un solo pensiero, quello di formarmi e poi di tornare per coinvolgere gli artisti della mia terra. Qui c’è sempre stato un fermento artistico eccezionale, il nostro faro era il maestro Piero Guccione. Inoltre, non c’erano più stamperie. Così sono andata controcorrente, e questa è stata la mia fortuna.
Tornata a Scicli, ho iniziato a sperimentare con i miei amici artisti… Rosa Cerruto, Giovanni Robustelli… siamo cresciuti insieme. Quando mi sono sentita totalmente padrona della tecnica ho aperto la stamperia. Sono già passati dodici anni.
Che rapporto hai con gli artisti?
Di grande empatia. Ogni volta cerco di tirare fuori il loro pensiero con la mia tecnica, lasciando sempre che questa resti al servizio dell’opera. Ma, tecnica a parte, ho un istinto particolare che va oltre l’esperienza. L’incisione, al contrario della stampa in digitale (che poi è un modo per ottenere multipli) è proprio un mezzo espressivo che ha un processo creativo a sé.
Qual è l’artista con cui ti senti più in sintonia?
Con Giovanni Robustelli ho una sintonia speciale. Partiamo da un pensiero, scegliamo la misura della lastra e partiamo… dal 2011 abbiamo incastri perfetti, tutto nasce a mano, in questo laboratorio. Lui ha basi salde anche sull’incisione, infatti incide direttamente sulla lastra, senza progetto, ha già tutto in testa… con lui è un lavoro in progress che dà forti emozioni.
L’ultima opera che abbiamo stampato è “Il flauto magico”.
Che significa per te “essere indigeni”?
Stare bene nel luogo in cui vivi. Io sto bene a Scicli.
Sono nata qui, mi sento un’indigena fortemente centrata nella mia terra.
Chi viene da fuori e decide di vivere in Sicilia, porta con sé esperienze e culture diverse e, nel tempo si lascia contaminare, per diventare indigeno.
La Sicilia, o si ama o si odia, è una terra che presenta realtà troppo nette e contraddittorie… La necessità di viverla te la fa accettare. E, comunque, non vorrei mai vivere altrove.
I tuoi progetti artistici personali? Perché anche tu sei un’artista Indigena.
Sorride
Già… dovrei solo trovare il tempo, e anche quel silenzio giusto per lasciare che quella parte intima di me si faccia strada tra tutte le contaminazioni che mi porto dentro.